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Avatar di Massimiliano Nati

Sono sempre stato stregato da ciò che si libra in aria: da bambino piccolissimo i primi disegni erano dirigibili (quello della Good Year che svolazzava nei cieli di Roma negli anni ’70), aerei e non case ed alberi come i bambini “normali” , forse perché il mio amato nonno era stato un maresciallo pilota dell’aeronautica militare dagli anni ’30 in poi (volava con i biplani) anche se lui, pur adorandomi e forse proprio per questo e per come ha vissuto la precarietà di quei pionieristici mezzi, non mi ha mai trasmesso volontariamente la passione per il volo, ci pensavo io a strappargliela dell’anima in ogni modo, forse perché il mio migliore “amichetto” dell’infanzia aveva un padre comandante dell’Alitalia ed insieme davamo sfogo alla mia e nostra passione costruendo modellini e vivendo ogni piccola occasione in cui c’era qualcosa di volante in giro.

Con l’adolescenza, nei primi anni ‘80 iniziai ad approfondire da autodidatta gli argomenti riguardanti il volo con alcuni libri per le licenze di volo privato e commerciale, con dispense di vari aerei di linea spacciatemi dal suddetto amico e da altri e con i primi, preistorici, simulatori per computer con i quali sognavo come un bambino sogna di pilotare una formula uno con un carretto con le ruote dei pattini. Non venivo da una famiglia benestante e, anche se mia madre, vista la mia passione, mi disse sempre che si sarebbe brutalmente indebitata per farmi seguire questa passione, non me lo sono mai sentita di acconsentire: mi promisi di farcela da solo dopo qualche tempo e fu così che, scoperto che esistevano mezzi volanti simili in tutto e per tutto agli aerei “veri” , gli ultraleggeri tre assi tubi e tela, iniziai la scuola. Feci qualche lezione teorica, in realtà le divorai e qualche volo di prova con istruttore: ero alle stelle e da queste caddi precipitevolissimevolmente quel giorno del 1987, 21 luglio, Pratoni del Vivaro, Castelli Romani.

Velivolo tre assi con posti in tandem e motore sul retro, io dietro a fare lezione. Decolliamo verso ovest, la valle/altopiano finisce presto, viriamo a destra prendendo quota e, dopo poco, sento un rumore sordo di cinghie che si strappano ed immediatamente il silenzio di un velivolo diventato aliante...Il pilota istruttore mi fa segno di stare tranquillo nel momento stesso in cui mi rendo conto che non ho più la cintura di sicurezza la quale, dolcemente, era andata a finire sulle cinghie di cui sopra e, tristemente, su qualche rinvio del timone che era rimasto deflesso. L'istruttore realizza che non avevo più la cintura e, peggio, che i suoi calcoli per una serena planata in pianura erano andati a farsi benedire a causa dell'assetto imbardato, capìta la gravita della situazione mi fa segno di tenermi con le mani alla struttura, pur capendone la sicura inutilità. Nel cono di contatto con il suolo c'erano solo alberi, di quelli molto alti e puntuti dove, ovviamente, imbardati e quasi, saggiamente, stallati, andammo a finire; quella sensazione che si prova in atterraggio quando tutto intorno si fa improvvisamente più veloce dell’istante precedente, quando, nella fattispecie e date le circostanze disperate, quegli alberi erano davvero alti e la velocità davvero troppa per dei piccoli esseri delicati, inermi e, nel mio caso, non legati al mezzo-scudo, hai la certezza che quelle saranno le ultime sensazioni, l’ultima adrenalina, l’ultima paura, le prime ed ultime preghiere ... Io, senza cintura, venni subito sbalzato fuori e feci un volo parabolico da un' altezza di circa 20 metri, caddi tra i rami, incredibilmente non tra i mortali tronchi, ricordo il passaggio dalla luce alla penombra della foresta, non immagini, solo passaggi di luce e fortissimi rumori di urti sui legni, fino all’ ultimo, il più forte: "atterrai" su un cespuglio di rovi che, seppur beffarda come immagine, mi salvarono probabilmente la vita così come il casco che indossavo.

Fu il primo momento, forse qualche secondo, massimo dieci, in cui persi conoscenza.

Aprii gli occhi e vidi raggi di luce che penetravano la foresta, misi a fuoco, mi si parò davanti l’immagine del velivolo a qualche metro da terra, impigliato tra i rami, l’istruttore, illeso, che si slacciava la cintura e tentava di scendere giu, altro nero, la sua faccia disperata che mi urlava di riprendermi, nella paura che non fossi più, ed il suo sollievo nel vedermi vivo. Di nuovo la paura e la frenesia di allontanarmi dal mezzo che grondava carburante, pur sapendo i rischi che correvo ad essere spostato. Scelse il probabile male minore anche se, col senno di poi, non ce ne sarebbe stato bisogno. Sentii per la prima volta dolore, quello vero, quello che non ti scordi più o che rimuovi per sempre. Ci lasciammo in lacrime, consapevoli che doveva essere lui a cercare i soccorsi e far trovare loro la strada in tempo utile. Furono le due ore più lunghe della mia vita: plurifratturato, pieno di spine, da solo, nel dolore lancinante e nel nulla di una foresta ma VIVO e cosciente ! I soccorsi arrivarono a piedi dopo svariati tentativi di trovare la giusta posizione, sentivo spesso rumori di motori e di voci ma non riuscivo ad urlare per farmi individuare o forse così credevo...

Trauma cranico, frattura del bacino e incrinatura di una vertebra. Miracolosamente sano e salvo dopo qualche mese di ospedale e una lunga riabilitazione...

Tornai di nuovo su un aereo un paio d'anni dopo, un volo di linea cha avrà ancora stampate le impronte delle mie mani sui braccioli del sedile, mi violentai per salirci, per superare il trauma e a qualcosa servì: dopo qualche mese salii su un piccolo velivolo mono elica, accompagnai un amico che si lanciava con il paracadute, lo feci perché credevo fosse l'unico modo per superare il trauma, così fu in parte, superai, anche se mai completamente, la paura di salire su un velivolo ma non ebbi più la determinazione per continuare un rapporto stretto con il volo, il lavoro e gli impegni di vita fecero il resto. Il mio "metadone" per continuare a coltivare la passione fu ed è sempre stato lo studio da autodidatta su libri "veri" e la simulazione fatta ad alti livelli. Ho avuto quattro occasioni che mi hanno fatto risentire le farfalle nello stomaco: un volo su Roma dove il pilota, coscio della mia preparazione, mi fece portare il Cessna per quasi tutto il giro, fino a una cinquantina di piedi dall'atterraggio; un documentario girato su un Atr 42 della guardia di finanza dove il Pilota, il colonnello responsabile del settore, pilota per l'occasione, fece cortesemente fare una pausa al suo copilota e mi mise ai comandi per una mezz'ora buona, facendomi fare volo livellato, virate e cambi di quota con sommo piacere dei miei collaboratori che presero il volo manuale per turbolenza con relativi mal d'aria; due esperienze su simulatori full motion di md80 e b737-800, entrambi gli aerei su cui, nei relativi periodi, mi esercitavo sul volo simulato casalingo ed entrambe le esperienze portate a termine con la sensazione, confermata dagli istruttori, di aver sempre volato su quelle macchine, almeno per le procedure basiche che provammo. Tutte esperienze che mi hanno fatto, prosaicamente è letteralmente, toccare il cielo con un dito ma che purtroppo mai hanno sfondato il muro di una determinazione volta a superare definitivamente il trauma per riabbracciare il volo reale in modo costante.

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Avatar di riccardo mazza

vero che capolavoro vada usato con parsimonia, ma Unbreakable e in fondo tutta la trilogia ci si avvicinano... li ho adorati come il più bell'omaggio al mondo dei fumetti che si potesse fare... e all'epoca quando su fb scrivevo con molta più parsimonia ne scrissi estasiato poche righe incantate. C'è un altro film che non ricordo e devo ritrovare, un film assurdo dove venivano reclutati sopravvissuti,.come in cerca dell'eletto, e c'era una scena stupenda in cui dovevano correre bendati attraverso un bosco, finendo un po' tutti a schiantarsi contro un albero, tranne i pochi eletti che correndo riuscivano a uscire dal bosco, e a seguire una prova dopo l'altra... devo rintracciare il titolo...

PS: anche nel mio tentativo di primo romanzo, il tempo è qualcosa da cui si torna, si va avanti, e si entra in mondi paralleli... forse è lo spirito del tempo, che ci spinge fuori o ancora più dentro

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