Supervivere – a un disastro aereo
Nascita accidentale di supereroi senza poteri, senza infamia, senza lode.
Quando uscì Unbreakable nel 2000, il film scritto – sceneggiatura originale – e diretto da M. Night Shyamalan, con Bruce Willis e Samuel L. Jackson, io e miei amici cinefili rimanemmo folgorati.
Shyamalan ci aveva abituati a dei racconti con una forte chiave narrativa. Il sesto senso, gran film, era tutto orientato verso la rivelazione, il capovolgimento di veduta, campo, senso, ma proprio quest’aspetto del gioco narrativo, ludico o meno, quella molla che scatta e che poi non può più tornare indietro, mi ha sempre tolto la magia, il mistero che trovo necessario dietro dentro sotto ogni narrazione che vuole diventare epica, storica, sconfiggere il tempo e farsi capolavoro.
Unbreakable invece aveva il quid.
Si apre con un disastro ferroviario. C’è un solo superstite. È un superman che cammina sulla Terra senza aver mai saputo di essere un superman. Capovolgimento nel capovolgimento, a provocare il disastro è la sua nemesi. Il (super)cattivo si cimenta in disastri e attentati proprio per trovare un sopravvissuto, il (super)buono. E i due sono Samuel L. Jackson e Bruce Willis.
Non ricordo un esempio di cinema commerciale tanto alto e di questo livello negli ultimi anni che stiamo vivendo, forse sto invecchiando e divento nostalgico e conservatore, non lo so, ma mi basta pensare che Quentin Tarantino, genio del cinema, lo inserisca nel suo alfabeto dei migliori film anni ‘90-2000 dicendo senza troppo indugiare che Unbreakable è un capolavoro per essere a posto con la coscienza. Faccio presente che non uso quasi mai la parola genio e la parola capolavoro. Genio è Kafka, è Fellini. Capolavoro è Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, I fratelli Karamazov. Sono parole che vanno usate con parsimonia.
La narrazione di Unbreakable anticiperà di molto quella della serie Heroes, per dirne una, feconderà e ibriderà moltissimi racconti anche di supereroi ipercommerciali come quelli dell’universo-poi-multiverso di Marvel, DC Comics e via discorrendo, e se la batterà per sempre come miglior pellicola sui supereroi con il film Watchmen di Zack Snyder tratto dal cult di Alan Moore e David Gibbons, letteratura allo stato puro.
Ma la cosa che davvero rimane del film di Shyamalan, e che possiamo ritrovare anche nel trailer, è l’effetto straniante e di sospensione che aleggia nel film e che ammalia, circonda, rapisce il personaggio, che viene preso da una sorta di nuova vita maledetta nata da questa sua sopravvivenza. David Dunn diventa così una specie di predestinato, l’uomo che ha sfidato a sua insaputa la morte e che l’ha sconfitta, ma la sua esistenza non è qualcosa da festeggiare, un puro atto di forza come quando nasce un eroe, diventa piuttosto una sorta di dannazione: David è condannato alla nuova vita, alla supervita, e da quel momento di consapevolezza in poi dovrà comporre i pezzi di questa sua nuova superesistenza, dovrà arredarla, metterci dentro delle nuove persone, fare i conti con questo suo nuovo mondo.
Sarebbe stato più semplice morire.
Air India Flight 171 – 12 giugno 2025
Un aereo precipita. È un disastro con 241 morti a bordo e 38 a terra. 279 morti in totale, più del doppio dei 130 che muoiono nell’incidente ferroviario che apre Unbreakable, e non si può non pensare a Unbreakable.
Siamo a Ahmedabad, in India. Il Boeing 787 Dreamliner non decolla pienamente e in circa 28 secondi precipita su uno studentato vicino all’aeroporto.
C’è un sopravvissuto: Vishwash Kumar Ramesh, 40 anni, posto 11A.
Nel primo video che circola su di lui lo vediamo camminare un po’ claudicante via dal relitto con ancora la carta d’imbarco in mano. Sembra arrabbiato ma lo intercettano, lo fanno salire su un’ambulanza, lo salvano, scompare.
Lo rivedremo in ospedale mentre racconta o cerca di ricostruire quello che è accaduto. Dice di essere caduto su un pezzo di terra, questa è stata la sua fortuna. Mentre invece l’aereo è atterrato sopra allo studentato, sventrandolo, sfracellandosi contro l’edificio. La sua tesi è che lui è riuscito ad atterrare, letteralmente, dice proprio una cosa come sono andato a terra mentre l’aereo è andato al primo piano.
Non si capisce bene. Cioè, io non lo capisco e il mio cervello si rifiuta di capire. Poi racconta che ha visto la gente morta e morente intorno, fiamme, detriti e lamiere, che si è slacciato la cintura, che si è allontanato dall’aereo. Ma nell’intervista che ho visto io è in evidente stato di shock.
Era seduto in un posto accanto all’uscita di sicurezza, è un tipo allenato, le ipotesi vorrebbero quindi che Vishwash Kumar Ramesh abbia avuto la prontezza di aprire il portellone qualche istante prima dell’impatto e che si sia lanciato. Meglio cadere che sbattere, avrà pensato. È probabile che sia andata così, e che la terra se la sia guadagnata con un salto.
Ma cosa succede davvero a chi sopravvive a qualcosa che uccide tutti gli altri?
Non parlo della sopravvivenza fisica, parlo di quell’altra cosa, più difficile da raccontare. Il ritorno. L’essere ancora qui. L’assurdità di esserci. Gli ospedali parlano di trauma, gli psichiatri di colpa del sopravvissuto, messa in scena magistralmente da Shyamalan quando Bruce Willis viene guardato con sospetto da tutti i parenti delle vittime dell’incidente, lui che ha la colpa di essere vivo e di non avere un graffio, ma non è solo questo. È che se la morte è un’uscita definitiva, la sopravvivenza è una porta socchiusa verso un mondo dove non riconosci più le regole. Sopravvivere a un disastro non ti rende più forte: ti rende un relitto semovente, come David Dunn ma senza un film multimilionario intorno, un frammento di un’altra realtà che continua a lampeggiare dentro quella presente. E da fuori puoi sembrare sano, lucido, pure fotogenico – come Vishwash col suo biglietto in mano, fisico prestante, un po’ incazzato per via del servizio a bordo – ma dentro stai ancora fluttuando nel polverone. Non sei più quello di prima. Non sei quello di dopo. Sei quello che è rimasto. Hai fatto un salto temporale.
E infatti spunta un altro video dove Vishwash sembra davvero un viaggiatore del tempo. Entra in scena direttamente dal buco spaziotemporale creato dal disastro, e si inserisce nel nostro tempo presente. È letteralmente tornato dalla morte, e cammina come uno qualsiasi di noi con in mano credo ancora appunto la carta d’imbarco con una gestualità assolutamente normale, come se stesse maneggiando un telefono.
Intorno a lui urlano, chiamano, sono scossi e scioccati, piangono, e lui indica con un braccio il disastro: vengo da lì, sembra dire. Ero là dentro, nella morte, e ora eccomi qua. Ho cambiato il corso naturale del tempo. Scusatemi.
Guardo e riguardo il video e dico: no, Vishwash non è tornato. Si vede. Vishwash è passato da un’altra parte.
Non è solo un sopravvissuto. È un supervissuto, un ultravissuto. Per mesi ho lavorato a un romanzo che uscirà questo inverno, che parla anche di viaggi nel tempo, e ho ritrovato in lui la sensazione che ho elaborato per questa mia storia, quello che vivono i miei viaggiatori, uno spaesamento colpevole, perché infrangere il tempo è un delitto contro il continuum dell’umanità.
Come David Dunn in Unbreakable, anche Vishwash è caduto dentro una realtà alternativa. Ma mentre David diventava un supereroe, Vishwash sembra piuttosto un viaggiatore del tempo smarrito, uscito da un lag della storia per sbaglio. Un uomo che si ritrova vivo quando doveva essere morto. E non capisce bene cosa farsene di questa nuova condizione – che inevitabilmente lo porterà, purtroppo, a essere un personaggio televisivo.
Il sedile 11A poi aggiunge un altro livello gustoso al mistero del sopravvissuto.
Anche James Ruangsak Loychusak, attore e cantante tailandese, sopravvisse a un disastro aereo nel 1998: era seduto nello stesso posto, 11A, l’ha confermato lui stesso facendo un post su Facebook (e da questo apprendiamo anche che si tratta di un boomer). Ma è solo una coincidenza, ci dicono. Ci vogliamo credere. Ci dobbiamo credere. Le statistiche ci rassicurano: i posti più sicuri sono in coda. 11A è davanti, e davanti si muore. Certo, c’è l’uscita di sicurezza a pochi centimetri, ma sempre meglio stare in coda quando un aereo precipita (sempre meglio non stare nell’aereo, quando un aereo precipita).
Eppure eccoli lì. Due uomini. Due superstiti. Due problemi del reale – sopravvivere qui è il problema sulla norma – numerati nello stesso modo.
Inizia a sembrarti che 11A non sia un sedile, ma una soglia. Una soglia per supereroi indistruttibili.
Ma chiaramente i supereroi non esistono davvero, vi do questa notizia. Cioè, esistono, ma nelle storie. Sono reali ma nelle storie. Come Gesù e Darth Vader. Sono narrazioni costruite per sopportare l’idea della morte, per darle un senso, un’estetica, un’uscita di sicurezza, per sconfiggere la natura, madre malvagia e vorace.
Però esistono i sopravvissuti, e loro ci mettono di buon umore, perché per noi, per l’umanità, sono andati nella morte e sono tornati con qualcosa in mano, una nuova conoscenza, un telefono, una carta d’imbarco. La morte l’hanno guardata in faccia e ci sono passati dentro, non gli è piaciuta, sono tornati indietro.
Gente che incrina la norma. Che rompe le statistiche. E che ci ricorda che anche la morte, ogni tanto, si distrae e possiamo fregarla come se fossimo i protagonisti di un mito antico.
Ce ne sono tanti. Uomini e donne che si sono ritrovati vivi in mezzo al nulla, o nel cuore della distruzione, tra le fiamme, i detriti, gli spari, i leoni, i crolli, le onde, e che hanno dovuto fare i conti con l’oscenità di esserci ancora. Non sono eroi, non sono santi, non sono mitologie da social. Sono carne viva, spesso non hanno affatto lo stand dell’eroe. Anzi talvolta sono dei veri bastardi, come vedremo.
Adesso ve li mostro. Non per farvi emozionare. Ma per farvi dubitare. Perché la morte, a volte, è solo una previsione sbagliata. Siamo nel grande calcolo statistico delle cose, e la tessitura può saltare. Questo io lo trovo salvifico per le nostre anime, entusiasmante. E quelli che leggerete non sono nomi da ricordare. Sono crepe statistiche, buchi neri della realtà, scorie di un algoritmo cosmico che ogni tanto sbaglia, mostra delle falle, e l’uomo, questa cosa fragile di carne e sangue, letteralmente fotte il destino crudele, il grande programma della fine.
Oggi si festeggia la vita. La doppia vita. Prosit. Salute. Cent’anni. In culo alla balena, al destino, alla sorte.
Eccoli, in ordine sparso, proprio come piace alla morte
• Alcides Moreno
Caduta da 47 piani – New York, 2007
152 metri. Sopravvisse a una caduta da 47 piani (circa 144 m) a New York nel 2007, mentre suo fratello morì. L'urto fu rallentato dal cestello su cui lavorava.
• Juliane Koepcke
Amazzonia, 1971
Esplode in volo. Sopravvive. Unica superstite nel 1971 dopo il disastro aereo in Perù. Camminò per 11 giorni nella giungla amazzonica prima di essere soccorsa.
• Martunis (7 anni)
Tsunami, 2004
Aveva 7 anni durante lo tsunami del 26 dicembre 2004. Rimase 21 giorni tra i cadaveri, alla deriva, e fu trovato su una spiaggia.
• Tinotenda Pudu (8 anni)
Savana, Zimbabwe, 2025
Un bambino di circa 7–8 anni disperso per 5 giorni nella savana dello Zimbabwe (Matusadona NP), vicino ai leoni, sfamandosi con frutta selvatica e acqua da pozze. Torna a casa camminando.
• James Ruangsak Loychusak
Thai Airways TG261, 1998
Anche lui era in 11A. Anche lui sopravvissuto.
• Giuseppina Bardelli (89 anni)
Bosco di Varese, 2024
Quattro notti tra le foglie. Ritrovata viva. Ottantanovenne (all’epoca 88–89 anni) dispersa nei boschi vicino a Varese, sopravvive bevendo dalle pozzanghere.
• Donald Trump (è il mio villain preferito)
Attentato, USA, 2024
Il destino gli sfiora la testa. Sopravvive a un tentato omicidio con arma da fuoco il 13 luglio 2024 a Butler, Pennsylvania. Il proiettile gli sfiora l'orecchio destro; lui reagisce con un gesto di forza. Alza il pugno. La storia riparte. Si può pensare quello che si vuole di The Donald ma la foto con il pugno chiuso levato al cielo, la bandiera americana, il sangue in volto, è assolutamente nella storia.
• Ofir Drori
Coccodrillo, Etiopia, 2013
Sbranato al muso. Sopravvive. Si cura da solo. Nel dicembre 2013 sopravvisse a un attacco di coccodrillo del Nilo in Etiopia. Rifugiatosi in ospedale con ferite, ne uscì vivo e continuò la sua attività di attivista per la salvaguardia dell’ambiente africano.
• Pasquale Padovano (Strage di Linate)
Milano, 2001
Sopravvissuto italiano. Ancora racconta l’odore del disastro. Colpito da gravi ustioni che addirittura gli fondono le dita delle mani, un addetto ai bagagli e a sconfiggere la morte.
• Rachel Hearson
Tsunami, 2004
Dal fashion business al volontariato. Dopo aver visto la morte. Sopravvisse allo tsunami e terremoto del 2004 nell’Oceano Indiano, e stiamo parlando di 230.000 vittime e 22.000 dispersi. Trovò, creò una camera d’aria, sopravvisse e passò al volontariato post-trauma e all’assistenza ai casi di cancro.
• Vesna Vulović
Caduta da 10.160 m, 1972
Cade da 33.000 piedi senza paracadute. E vive. Hostess serba, è nota per essere sopravvissuta alla caduta da un'altezza di 10.160 metri (33.000 piedi) in seguito all'esplosione del volo JAT 367 nel 1972. Questa sopravvivenza è riconosciuta come il record mondiale nel Guinness dei primati per la più alta sopravvivenza a una caduta libera senza paracadute. L'incidente avvenne il 26 gennaio 1972 in Cecoslovacchia e l'aereo esplose a causa di una bomba a bordo. Vesna Vulović rimase incastrata tra i rottami che si divisero in tre tronconi, e fu l'unica sopravvissuta.





Sono sempre stato stregato da ciò che si libra in aria: da bambino piccolissimo i primi disegni erano dirigibili (quello della Good Year che svolazzava nei cieli di Roma negli anni ’70), aerei e non case ed alberi come i bambini “normali” , forse perché il mio amato nonno era stato un maresciallo pilota dell’aeronautica militare dagli anni ’30 in poi (volava con i biplani) anche se lui, pur adorandomi e forse proprio per questo e per come ha vissuto la precarietà di quei pionieristici mezzi, non mi ha mai trasmesso volontariamente la passione per il volo, ci pensavo io a strappargliela dell’anima in ogni modo, forse perché il mio migliore “amichetto” dell’infanzia aveva un padre comandante dell’Alitalia ed insieme davamo sfogo alla mia e nostra passione costruendo modellini e vivendo ogni piccola occasione in cui c’era qualcosa di volante in giro.
Con l’adolescenza, nei primi anni ‘80 iniziai ad approfondire da autodidatta gli argomenti riguardanti il volo con alcuni libri per le licenze di volo privato e commerciale, con dispense di vari aerei di linea spacciatemi dal suddetto amico e da altri e con i primi, preistorici, simulatori per computer con i quali sognavo come un bambino sogna di pilotare una formula uno con un carretto con le ruote dei pattini. Non venivo da una famiglia benestante e, anche se mia madre, vista la mia passione, mi disse sempre che si sarebbe brutalmente indebitata per farmi seguire questa passione, non me lo sono mai sentita di acconsentire: mi promisi di farcela da solo dopo qualche tempo e fu così che, scoperto che esistevano mezzi volanti simili in tutto e per tutto agli aerei “veri” , gli ultraleggeri tre assi tubi e tela, iniziai la scuola. Feci qualche lezione teorica, in realtà le divorai e qualche volo di prova con istruttore: ero alle stelle e da queste caddi precipitevolissimevolmente quel giorno del 1987, 21 luglio, Pratoni del Vivaro, Castelli Romani.
Velivolo tre assi con posti in tandem e motore sul retro, io dietro a fare lezione. Decolliamo verso ovest, la valle/altopiano finisce presto, viriamo a destra prendendo quota e, dopo poco, sento un rumore sordo di cinghie che si strappano ed immediatamente il silenzio di un velivolo diventato aliante...Il pilota istruttore mi fa segno di stare tranquillo nel momento stesso in cui mi rendo conto che non ho più la cintura di sicurezza la quale, dolcemente, era andata a finire sulle cinghie di cui sopra e, tristemente, su qualche rinvio del timone che era rimasto deflesso. L'istruttore realizza che non avevo più la cintura e, peggio, che i suoi calcoli per una serena planata in pianura erano andati a farsi benedire a causa dell'assetto imbardato, capìta la gravita della situazione mi fa segno di tenermi con le mani alla struttura, pur capendone la sicura inutilità. Nel cono di contatto con il suolo c'erano solo alberi, di quelli molto alti e puntuti dove, ovviamente, imbardati e quasi, saggiamente, stallati, andammo a finire; quella sensazione che si prova in atterraggio quando tutto intorno si fa improvvisamente più veloce dell’istante precedente, quando, nella fattispecie e date le circostanze disperate, quegli alberi erano davvero alti e la velocità davvero troppa per dei piccoli esseri delicati, inermi e, nel mio caso, non legati al mezzo-scudo, hai la certezza che quelle saranno le ultime sensazioni, l’ultima adrenalina, l’ultima paura, le prime ed ultime preghiere ... Io, senza cintura, venni subito sbalzato fuori e feci un volo parabolico da un' altezza di circa 20 metri, caddi tra i rami, incredibilmente non tra i mortali tronchi, ricordo il passaggio dalla luce alla penombra della foresta, non immagini, solo passaggi di luce e fortissimi rumori di urti sui legni, fino all’ ultimo, il più forte: "atterrai" su un cespuglio di rovi che, seppur beffarda come immagine, mi salvarono probabilmente la vita così come il casco che indossavo.
Fu il primo momento, forse qualche secondo, massimo dieci, in cui persi conoscenza.
Aprii gli occhi e vidi raggi di luce che penetravano la foresta, misi a fuoco, mi si parò davanti l’immagine del velivolo a qualche metro da terra, impigliato tra i rami, l’istruttore, illeso, che si slacciava la cintura e tentava di scendere giu, altro nero, la sua faccia disperata che mi urlava di riprendermi, nella paura che non fossi più, ed il suo sollievo nel vedermi vivo. Di nuovo la paura e la frenesia di allontanarmi dal mezzo che grondava carburante, pur sapendo i rischi che correvo ad essere spostato. Scelse il probabile male minore anche se, col senno di poi, non ce ne sarebbe stato bisogno. Sentii per la prima volta dolore, quello vero, quello che non ti scordi più o che rimuovi per sempre. Ci lasciammo in lacrime, consapevoli che doveva essere lui a cercare i soccorsi e far trovare loro la strada in tempo utile. Furono le due ore più lunghe della mia vita: plurifratturato, pieno di spine, da solo, nel dolore lancinante e nel nulla di una foresta ma VIVO e cosciente ! I soccorsi arrivarono a piedi dopo svariati tentativi di trovare la giusta posizione, sentivo spesso rumori di motori e di voci ma non riuscivo ad urlare per farmi individuare o forse così credevo...
Trauma cranico, frattura del bacino e incrinatura di una vertebra. Miracolosamente sano e salvo dopo qualche mese di ospedale e una lunga riabilitazione...
Tornai di nuovo su un aereo un paio d'anni dopo, un volo di linea cha avrà ancora stampate le impronte delle mie mani sui braccioli del sedile, mi violentai per salirci, per superare il trauma e a qualcosa servì: dopo qualche mese salii su un piccolo velivolo mono elica, accompagnai un amico che si lanciava con il paracadute, lo feci perché credevo fosse l'unico modo per superare il trauma, così fu in parte, superai, anche se mai completamente, la paura di salire su un velivolo ma non ebbi più la determinazione per continuare un rapporto stretto con il volo, il lavoro e gli impegni di vita fecero il resto. Il mio "metadone" per continuare a coltivare la passione fu ed è sempre stato lo studio da autodidatta su libri "veri" e la simulazione fatta ad alti livelli. Ho avuto quattro occasioni che mi hanno fatto risentire le farfalle nello stomaco: un volo su Roma dove il pilota, coscio della mia preparazione, mi fece portare il Cessna per quasi tutto il giro, fino a una cinquantina di piedi dall'atterraggio; un documentario girato su un Atr 42 della guardia di finanza dove il Pilota, il colonnello responsabile del settore, pilota per l'occasione, fece cortesemente fare una pausa al suo copilota e mi mise ai comandi per una mezz'ora buona, facendomi fare volo livellato, virate e cambi di quota con sommo piacere dei miei collaboratori che presero il volo manuale per turbolenza con relativi mal d'aria; due esperienze su simulatori full motion di md80 e b737-800, entrambi gli aerei su cui, nei relativi periodi, mi esercitavo sul volo simulato casalingo ed entrambe le esperienze portate a termine con la sensazione, confermata dagli istruttori, di aver sempre volato su quelle macchine, almeno per le procedure basiche che provammo. Tutte esperienze che mi hanno fatto, prosaicamente è letteralmente, toccare il cielo con un dito ma che purtroppo mai hanno sfondato il muro di una determinazione volta a superare definitivamente il trauma per riabbracciare il volo reale in modo costante.
vero che capolavoro vada usato con parsimonia, ma Unbreakable e in fondo tutta la trilogia ci si avvicinano... li ho adorati come il più bell'omaggio al mondo dei fumetti che si potesse fare... e all'epoca quando su fb scrivevo con molta più parsimonia ne scrissi estasiato poche righe incantate. C'è un altro film che non ricordo e devo ritrovare, un film assurdo dove venivano reclutati sopravvissuti,.come in cerca dell'eletto, e c'era una scena stupenda in cui dovevano correre bendati attraverso un bosco, finendo un po' tutti a schiantarsi contro un albero, tranne i pochi eletti che correndo riuscivano a uscire dal bosco, e a seguire una prova dopo l'altra... devo rintracciare il titolo...
PS: anche nel mio tentativo di primo romanzo, il tempo è qualcosa da cui si torna, si va avanti, e si entra in mondi paralleli... forse è lo spirito del tempo, che ci spinge fuori o ancora più dentro